La testimonianza della giovane martire Anna Kolesarova si diffonde tra i giovani nei diversi paesi europei. A settembre, pochi giorni dopo la beatificazione di Anna Kolesarova, si è svolto un incontro di formazione dei laici e suore carmelitane al convento di Pâquier in Svizzera. Lettore della serata, assistente del Segretario generale della Conferenza dei Vescovi Svizzeri, Giovanni Meier-Grandjean, ha colto l’occasione per parlare di Anna Kolesarova nel contesto della castità. L’esempio della beata Anna è stato molto ispirativo ed incoraggiante.
Una vita offerta: Anna Kolesárová…
Quando evochiamo l’itinerario della giovane Anna Kolesárová, beatificata il 1° settembre 2018, badiamo a non restare alla superficie ma a considerare fatti più profondi.
Rammentiamo: Anna è uccisa il 22 novembre 1944, all’età di 16 anni e mezzo, nel suo villaggio di Vysoká nad Uhom in Slovacchia, non lungi dalle frontiere ucraina, ungherese e polacca, da un soldato sovietico penetrato nella casa paterna, ove lei si rifugia dopo averne subito le istanze sempre più minacciose. Suo padre si frappone proponendo alla figlia di preparare al soldato qualcosa da mangiare, ma costui passa oltre. Lei si dibatte, rifiuta di cedere, allenta la stretta. Il soldato afferra il fucile automatico, la agguanta e le spara due colpi, uno nella testa e uno nel petto, sotto gli occhi sgomenti di suo padre Jan e del fratello Michal. Anna si accascia. Tale sconvolgente epilogo rimanda al genere di morte cui soccombette, in tempo di pace, santa Maria Goretti.
Innanzitutto: Anna Kolesárová soccombe a un crimine che tante donne e ragazze subiscono nello sfacelo d’una guerra, con un esito spesso tragico a causa dello stupro patito, talvolta intollerabile per l’esibizione pubblica dello stupro stesso. Cerchiamo di capire in qual modo può aiutare queste donne la castità assunta fino in fondo da Anna Kolesárová, di cui dobbiamo sondarne la vita perché non ci sfugga l’essenziale. Si rischia infatti di fermarsi là dove si è capaci d’arrivare, si vedono i fatti. E il fatto che appare palesemente è che Anna ha voluto salvare la sua verginità, integrità, essenziale intimità. Ciò è senz’altro vero. I fatti ci sono; ma talora una verità manifesta può celarne un’altra. Paradossalmente, è dal sangue versato che dobbiamo partire per cogliere quel “di più”, quella vita che pur ha preceduto.
Affronto la questione alla larga e propongo alcune parole che possono in qualche modo circoscrivere la parola “castità”. Queste parole sono state proposte dai partecipanti ad un incontro di gruppo sul tema della castità al Carmelo femminile di Pâquier in Svizzera. Sono: rispetto, pazienza, dolcezza, misura, amore, larghezza, semplicità, abbandono, scelta, padronanza, equilibrio, innocenza, umiltà, libertà, fedeltà, letizia. Altrettante risonanze che ci restituisce la parola “castità”. Non conosco le cartelle della procedura di beatificazione di Anna Kolesárová, a parte qualche briciola. Ma facciamo lo stesso l’esercizio di supporre in lei non già le singole virtù prese una accanto all’altra, ma l’insieme che ne emana, la loro “atmosfera”, e vedremo dispiegarsi una certa logica, una coerenza interna. Ci ritornerò.
Voltiamoci per ora all’obiettivo che ci siamo fissati: quale verità si cela dietro la verità immediata della morte crudele di Anna Kolesárová?
Per cominciare, c’è una verità “consacrata”, drenata dal flusso di ricerche condotte nell’ambito del processo di beatificazione. Il curato ha notato nel registro dei battesimi, accanto al nome di Anna, hostia sanctae castitatis. La formula è pregnante. Cogliamo, nel contesto dato, lo spessore della parola castitatis. Il termine latino hostia significa “vittima espiatoria” e dà “ostia” in italiano. Ci rinvia violentemente alla prospettiva del sacrificio supremo della vita, e ci suggerisce la maniera di comprendere questa morte e ciò che la precede.
Verosimilmente, dietro le parole proposte per circoscrivere la castità, che veicolano comunque valori positivi ed evangelici, si svela il senso della vita di Anna Kolesárová. Ne intravvediamo la dinamica profonda… Pazienza, misura, semplicità, abbandono non potevano mancare presso colei che attendeva alle proprie faccende a casa e in fattoria, ne siamo persuasi. Ma da questa processione di parole forti vorrei estrarre soprattutto l’idea della “guardia del cuore”, svelata dai testi costitutivi del Carmelo e suggerita dal combattimento spirituale di Efesini 6,13-17, perché ci offre una pista di comprensione più precisa delle disposizioni di Anna Kolesárová. Suggerisco la convergenza tra “guardia del corpo” e “guardia del cuore”. La guardia del corpo è quanto più vicina possibile alla personalità da proteggere e la difende ad ogni costo. Analogamente, la guardia del cuore suggerisce un’attenzione sostenuta alla dimensione interiore dell’essere, un partito preso per ciò che è, e questo in vari modi: saper ascoltare il cuore al di qua della febbrilità del temperamento e delle circostanze, sapersi posare, riflettere o meditare; sapersi smarcare dai frastuoni e dalle suggestioni, e fors’anche, presso certuni, rinunciare alla maldicenza, ritrovare una saggezza, “ricentrarsi”; saper accogliere ciò che viene da Dio, riceversi da Lui…
Orbene, la parola che abbiamo smarrito per strada, e cioè “hostia”, rappresenta un pezzo forte per capire che la prossimità al proprio cuore era pure, in Anna Kolesárová, prossimità al cuore di Dio… La guardia del cuore porta lontano… Perché valga la pena di affrontare un pericolo mortale con tale convinzione o abbandono, perché valga la pena di morire così, occorreva essere “previamente” presso il cuore di Dio. Altrimenti, la sentenza di morte eseguita davanti al padre e al fratello resta, umanamente parlando, una visione insostenibile, che fa salire in noi lacrime di compassione e il desiderio profondo di attenuare questa sofferenza.
Per serbare il cuore presso Dio, tante possibilità si sono offerte a questa ragazza: dopo la morte della mamma Anna, all’età di dieci anni, lei frequenta giornalmente l’Eucaristia, che le arreca una prossimità sostanziale al cuore di Dio tramite il Corpo di Cristo. Ciò si abbina a certe disposizioni che richiamano i titoli di nobiltà che abbiamo evocato: pazienza, dolcezza, misura, sobrietà, equilibrio, purezza, umiltà, fedeltà, letizia… Non ci ricordano forse i frutti dello Spirito di cui parla san Paolo (per esempio nella Lettera ai Galati 5,22)? Sì, perché persino l’assidua frequenza all’Eucaristia, senza queste concretizzazioni e l’abbandono all’Amore che le suscita, forse non darebbe la forza necessaria, all’istante estremo della scelta impostasi tra la vita e la morte. Anna Kolesárová avrebbe potuto sottrarsi alla minaccia di morte. Si è lasciata percuotere per amore della vera vita.
Perché si tratta d’una scelta, per riprendere il filo: al momento di essere brutalmente aggredita, Anna aveva già fatto da tempo la scelta della libertà interiore e quella degli affetti liberamente consentiti, accarezzati, eletti. Questa scelta di vita non ha il tempo materiale di avvalersi della situazione, perché i due spari che rimbombano nella casa familiare spengono il respiro della ragazza, ma resta pur vero che tale scelta ci orienta sul senso da dare alla sua abnegazione. Il desiderio ultimo di libertà e di verità non poteva che esistere da lungi nel suo cuore e rinviare a Dio, prima ancora d’essere espresso. Scelta dei doni di Dio, scelta dello spirito, da cui la castità sgorga naturalmente nel momento decisivo. Vediamo che la “guardia del cuore” ha fatto zampillare, in questa giovane, il desiderio della libertà autentica (declinata al femminile, come risposta ad ogni violenza predatrice) ed il desiderio di sentimenti veritieri, opposti ai rapporti di forza bruta. Noto di passaggio che non è forse ciò che ci aspettiamo per primo, quando ci vediamo confrontati a questo tipo di morte. Anna Kolesárová è beata, da questo punto di vista, ben prima della sua morte.
Senza più neppure passare all’atto, l’aggressore è obnubilato da un’ira mortifera che vuole sfasciare nella giovane qualcosa di sacro: puntando presumibilmente alla bocca, paralizza una parola libera e matura, che sgorga da una verità su Dio e sull’uomo, tempio dello Spirito; sparando nel petto, fa tacere la pulsazione dei sentimenti e della vita, colpisce a morte la femminilità già ferita dall’oltraggio verbale. In fondo, il destino di Anna Kolesárová, la cui forza vitale è stata spenta anzitempo, è rappresentativo del destino di tante donne la cui speranza e la cui fede sono state duramente provate o soffocate dalla lesione fisica e psicologica. Come rendere loro un po’ di fede e di speranza?
Diciamolo: la scelta fondamentale di Anna Kolesárová, presto divenuta dinamica di vita, coltivata con assiduità nella preghiera e nel compimento delle mansioni quotidiane, abitata dalla tenerezza di Dio per ogni uomo e donna, maturata a contatto col Cielo nello spirito dei doni, offerta al momento della minaccia mortale, fa di lei un dono d’intercessione per noi. Perché non c’è, a ben guardare, soluzione di continuità tra la vita offerta di Anna e la vita svaligiata nel corpo e nello spirito delle persone forzate ad avere rapporti non consentiti, e neppure tra questa morte, atrocemente “subita” anche da suo padre e suo fratello, e la vita sconvolta di tanti familiari che assistono loro malgrado all’affronto inferto a uno/una dei loro. In caso di conflitto generalizzato, lo stupro tende a diventare un’arma sistematica.
Il credente può chiedere l’intercessione della Beata Anna per le donne che non hanno scelta, private di speranza e di fede che le tenga, ferite nel corpo e nello spirito a seguito delle violenze, talora respinte dalla famiglia e dall’ambiente sociale, e che forse hanno dato alla luce un bimbo non desiderato: per esempio le yazidi e le cristiane rapite in Siria ed Iraq, schiave sessuali costrette a restare sotto lo stesso tetto dei rapitori per non abbandonare il bimbo. Tenterebbero la fuga se potessero prenderlo con sé, gli sacrificano la loro libertà… Senza parlare di bambini e ragazzi rapiti e sfruttati, sfollati, costretti all’esilio…
Affidiamo alla Beata Anna pure chi assiste impotente a tali soprusi, perché si rimetta da tali impressioni, non si chiuda nel diniego e la sua vita interiore non rimanga amputata dal trauma patito.
Affidiamole anche chi reca aiuto alle vittime in specifici ambiti d’attività, al pari dei due premi Nobel della pace 2018: nell’assistenza medica e chirurgica; traumatologica e di recupero; psicologica e psicoterapeutica; di polizia e di prossimità; giudiziaria e penale; in seno alle istituzioni scolastiche e formative; nella pastorale e l’accompagnamento spirituale, nei gruppi di condivisione e ascolto, nella vita associativa; nell’impegno politico, umanitario e sociale per la messa in atto di risposte adeguate a questi drammi; con la testimonianza, l’empatia, la preghiera e, più generalmente, impegnandovi la loro vita.
E perché non invocare la Beata Anna per rimanere aperti alla dimensione interiore degli esseri e disposti a portare nella preghiera, nella parola e con empatia ogni anima che anela a Dio facendo voto di castità, ogni anima che desidera la sincerità degli affetti, toccata dalla bellezza della vita interiore e mossa da stupore per il creato. Sono anime confrontate alla complessità dell’umano, a un ambiente talora ostile o perplesso, alle prove e notti del sensibile e dello spirituale… Che la nuova Beata ci aiuti ad “imparare i sentimenti di Dio nel volto e nelle sofferenze degli uomini, per essere contagiati dalla sua gioia, …dal suo amore e per guardare con Lui, e partendo da Lui, il mondo”, per riprendere alcune parole rivolte dal papa emerito Benedetto XVI° ai vescovi della Svizzera nel 2006.
Possiamo affidare alla giovane Anna anche la nostra preghiera per coloro, ragazzi e ragazze – ed accompagnatori e accompagnatrici –, che prendono a cuore il dovere di memoria, di conoscenza e di condivisione di questo itinerario di vita, che mettono la loro vita nelle mani di Dio, riempiti da una fede vissuta come gioia condivisa. Hanno voglia di costruire una civiltà fraterna.
Prima di versare il proprio sangue e render l’anima, Anna proferisce, rivolgendosi al papà: “Arrivederci papà. Gesù, Maria, Giuseppe”. Questo ad-dio, giuntoci dalla preghiera del rosario, che pronuncia i tre Nomi stringendo la croce della corona, è la chiave di volta da cui vediamo a che profondità situare l’opzione che fece Anna per Dio e per il prossimo. I tre Nomi invocati – dove san Giuseppe, giovane giusto e sensibile agli interrogativi di Maria, è agli antipodi dell’assassino –, ci svelano l’approdo dello sgomento e dell’angoscia nella pace e nell’amore di Dio, come pure il marchio di fabbrica di quest’itinerario svolto al lume del Vangelo, il punto d’appoggio del dinamismo della sua vita.
Giovanni Meier-Grandjean, Marly, 11.11.2018